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5 giochi PS1 usciti solo in Giappone da recuperare assolutamente

Oggi siamo abituati a vedere la maggior parte dei videogiochi uscire in tutto il mondo, talvolta addirittura in contemporanea. Non è sempre stato così, però; i giocatori di lunga data ricorderanno indubbiamente epoche in cui per l’arrivo di un videgioco nel nostro Paese bisognava aspettare mesi, se non addirittura anni dopo il rilascio originale in Giappone o negli Stati Uniti.

Avveniva anche spesso che un gioco, semplicemente, non venisse rilasciato affatto su altri mercati. Le ragioni potevano essere molteplici, ma una delle principali era legata alla paura che un determinato gioco potesse avere successo solo in una certa regione, perché troppo lontano culturalmente dalle altre. Figurarsi poi quando si trattava di giochi “di nicchia” prodotti in Giappone!

Per questo motivo, molti dei giochi della quinta generazione di console sono rimasti confinati al Giappone (e, in realtà, anche della sesta!). Oggi vogliamo dare un’occhiata a 5 giochi della prima PlayStation esclusivi del Sol Levante che ogni appassionato di retrogaming farebbe bene a riscoprire, presentati senza nessun ordine particolare.

Yuuyami doori tankentai(1999)

Yuuyami doori tanketai

Considerando quando forti fossero le barriere culturali negli anni ’90, non è difficile capire perché Yuuyami Doori Tankentai (夕闇通り探検隊) non abbia mai lasciato il Giappone. Questo titolo pesca infatti a piene mani dal folklore giapponese, per raccontare una storia fatta di spiriti e leggende urbane all’interno di una piccola cittadina dal nome di Hirumi.

Il gioco è diviso in capitoli, all’inizio dei quali ci viene chiesto di scegliere quale dei tre protagonisti disponibili vogliamo interpretare. La scelta ha un impatto sull’evoluzione della trama nel capitolo, dunque non è un elemento puramente estetico.

Ogni capitolo si divide a sua volta in due fasi: nella prima, abbiamo a disposizione cinque minuti per esplorare la scuola e raccogliere informazioni dai nostri coetanei riguardo agli eventi su cui stiamo indagando. Dato che ognuno dei protagonisti ha amici diversi nella scuola, ciascuno potrà parlare con persone differenti e ottenere quindi informazioni uniche.

Nella seconda fase ci vengono invece concessi dieci minuti per esplorare la città. Per orientarsi è possibile consultare una mappa in-game oppure la mappa cartacea che era inclusa nella release originale del gioco.

Nonostante l’accoglienza all’epoca fosse stata davvero molto fredda, Yuuyami doori tanketai è stato rivalutato nel corso del tempo, fino a raggiungere lo stato di titolo di culto per le persone (non molte, purtroppo) che lo hanno giocato.

Ciò che colpisce di più del gioco è sicuramente la sua atmosfera, contemporaneamente lugubre, inquietante ma anche nostalgica, che a portato alcuni a vedere nell’estetica del gioco una vera e propria rappresentazione del malessere della società giapponese colpita dalla recessione negli anni ’90

Policenauts (1996)

Screenshot da Policenauts

Policenauts (ポリスノーツ) è un videogioco d'avventura sviluppato e diretto da Hideo Kojima, e pur non trattandosi di un’esclusiva PlayStation sarebbe impossibile non nominarlo, dato l’autore del progetto.

La trama segue Jonathan Ingram, un ex poliziotto che, durante dei test su una nuova tuta spaziale, viene per sbaglio catapultato nello spazio e dato per morto. 25 anni dopo, Jonathan viene invece ritrovato in vita, essendo sopravvissuto in uno stato di ibernazione. Jonathan torna così alla sua vita, ma scopre che tutto è cambiato: la sua ex-moglie si è risposata dopo averlo creduto morto, e anche il corpo di polizia di cui faceva parte non esiste più.

Nel 2040 è ormai diventato un detective privato, e riceve un caso proprio dalla sua ex-moglie, che chiede di indagare sulla scomparsa del suo attuale marito. Inizialmente Jonathan rifiuta, ma poco dopo la sua visita, Lorraine viene uccisa da un uomo a bordo di una motocicletta. Jonathan decide così di indagare su quanto le aveva chiesto, immergendosi in una storia molto più complicata di quanto potesse inizialmente immaginare.

Il gameplay combina elementi visual novel con sequenze d’azione, ad esempio delle brevi parentesi da FPS. La componente più interessante è però sicuramente la sua storia, che dimostra quanto Kojima fosse già affascinato dalla scienza e dalla tecnologia, e dalle loro implicazioni etiche. Una vera perla che ogni fan del maestro dovrebbe conoscere.

LSD: Dream Emulator (1998)

Screenshot da LSD: Dream Emulator

LSD: Dream Emulator (エルエスディー) è un videogioco sperimentale davvero difficile da descrivere, e che rappresenta qualcosa di unico nella storia videoludica.

Si tratta di un titolo di pura esplorazione che con i termini di oggi potremmo definire un walking simulator; la sua caratteristica fondamentale, però, è che il mondo da esplorare, senza direzioni e obiettivi, sono i sogni, in particolare quelli ispirati al diario onirico di Hiroko Nishikawa, una dipendente della stessa Asmik Ace che ha sviluppato il gioco.

Nel gioco, ci ritroviamo ad esplorare una serie di ambienti generati casualmente che riflettono sogni, incubi e visioni bizzarre. Non esistono obiettivi o una narrativa convenzionale: il gameplay si basa sull'interazione con l'ambiente, che può traspostarci continuamente in location diverse, passando da luoghi colorati e pacifici a paesaggi inquietanti e distorti, proprio come accade nei sogni. Ogni sessione di gioco dura circa 10 minuti, dopo i quali il nostro avatar si risveglia, riportandoci al menù principale.

Questa atmosfera onirica e surreale ha reso LSD un vero e proprio fenomeno di culto dopo la sua riscoperta ad opera di alcuni content creator nel corso degli anni 2010. Davvero un gioco che merita di essere sperimentato in prima persona!

Mizzurna Falls (1998)

Screenshot da Mizzurna Falls

Mizzurna Falls (ミザーナフォールズ) è un videogioco d'avventura ambientato in una tranquilla cittadina americana, Mizzurna Falls, situata tra le montagne del Colorado.

Ispirata alle serie americane dell'epoca, in particolare da Twin Peaks, la serie di David Lynch sembra influenzare davvero tanto il gioco nella sua ambientazione e trama, che comincia nel giorno di Natale del 1998, quando una giovane ragazza di nome Kathy Flannery viene ritrovata priva di sensi in una foresta, apparentemente dopo essere stata attaccata da un orso.

Poco dopo, un’altra ragazza della stessa scuola, Emma Rowland, scompare senza lasciare tracce. Noi vestiamo i panni di Matthew Williams, un compagno di Emma deciso a ritrovare la sua amica, a costo di addentrarsi negli oscuri segreti che avvolgono la città. La storia si svolge in tempo reale nell’arco di sette giorni, e le scelte che prendiamo nel corso dell’avventura, insieme alla gestione del tempo, influenzano il corso degli eventi e i vari finali.

Dal punto di vista del gameplay, il gioco è davvero molto avveniristico, specie per l’epoca in cui è uscito. Si tratta infatti di un open-world, dove possiamo interagire con molti personaggi, ciascuno dotato della sua routine e delle sue abitudini, raccogliere indizi e risolvere enigmi.

È molto difficile vivere tutti gli eventi del gioco senza una guida, così come lo è sbloccare il più interessante dei tre finali disponibili; forse anche per questo all’epoca il gioco non venne mai tradotto, nonostante il suo setting americano.

Boku No Natsuyasumi (2000)

Screenshot da Boku no Natsuyasumi

Concludiamo la nostra carrellata con un po' più di... positività, grazie a Boku no Natsuyasumi (ぼくのなつやすみ), il primo capitolo dell’omonima serie videoludica, che potremmo categorizzare come qualcosa di a metà tra il life sim e il gioco d’avventura.

Il titolo può essere tradotto  come “La mia vacanza estiva”, ed è letteralmente di questo che si tratta: nel gioco vestiamo infatti i panni di un bambino di nove anni, Boku, che si ritrova a passare le sue vacanze estive presso i suoi parenti di campagna.

La storia è ambientata nel 1975, e questo contribuisce a sviluppare un forte senso di nostalgia, sia per l’infanzia passata che per un’epoca dipinta come più semplice e spensierata, complice il vederla tramite gli occhi di un bambino. Nel gioco non ci sono veri e propri obiettivi: ogni giorno siamo liberi di esplorare il villaggio, interagire con gli abitanti, collezionare insetti, pescare, giocare e scoprire segreti nascosti.

In poche parole, l’idea è quella di far rivivere al giocatore la spensieratezza di un bambino, senza la pressione di compiti da svolgere o missioni da completare.

Per questo l’esperienza di gioco risulta incredibilmente rilassante, complice anche l’idilliaca colonna sonora; è difficile spiegare a parole le sensazioni trasmesse dal gioco, ma si tratta di qualcosa che tutti coloro che amano il Giappone dovrebbero provare almeno una volta.

Conclusione

Questi sono solamente alcuni dei videogiochi cult dell’era PS1 che, purtroppo, non hanno mai lasciato il Giappone. Ne hai scoperto qualcuno che vorresti provare a giocare, o aggiungere alla tua collezione?

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Articolo| 16/05/2025 | retro-gaming

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